Il riso: una lunga storia...
Il riso, che da sempre costituisce l’alimento principale nel continente asiatico, solo in epoche più recenti è comparso fra le popolazioni mediterranee. Già i greci e i latini ebbero modo di apprezzarlo: Megastene, Diodoro, Celso, Apicio, Galeno ne parlarono e Strabone attribuì ad Alessandro Magno il merito di averlo portato dall'Oriente. Il riso, per i nostri antenati, ebbe sempre fama di "spezia" di lusso, riservata ai ricchi e da usarsi con molta parsimonia. Anche durante il Medioevo venne considerato un alimento di lusso: nel libro di spese dei Conti di Savoia (anno 1250 circa) si trovano annotazioni sull'acquisto di alcuni etti (!) di riso per la confezione di dolci particolari. Nel 1336 gli speziali di Milano dovevano vendere il riso al prezzo massimo di 12 imperiali la libbra, contro gli 8 del miele, E bisogna considerare che già a quel tempo gli arabi avevano impostato una fiorente risicoltura in Spagna, con conseguente diminuzione del prezzo del prodotto, rispetto a quello importato da Alessandria d'Egitto, tradizionale centro commerciale di "spezie". La coltivazione della graminacea in Italia iniziò proprio in questo periodo o poco più tardi. Ma da chi vennero importate le norme per la coltivazione e il seme? Si fanno due ipotesi: o da navigatori veneziani in continuo contatto con l'Oriente o da operatori che commerciavano con la Spagna e, dunque, con gli Arabi. Quest'ultima sembra l'ipotesi più attendibile, alla luce delle testimonianze reperibili sulle prime coltivazioni, che avvennero in Lombardia; non già nel Veneto come presumibilmente sarebbe accaduto se fossero stati i veneziani a introdurlo dall'Oriente. A questo proposito importantissime sono le due lettere patenti scritte nel 1475 dal duca Galeazzo Maria Sforza che cedeva al duca di Ferrara 12 sacchi di "risone" raccolti nel Milanese affinchè potesse sperinentare nelle sue terre la coltivazione del riso pianta estremamente interessante perché coltivabile anche in terreni acquitrinosi. Pian piano le risaie si diffusero, malgrado i divieti delle autorità tesi a controllare il monopolio di un alimento ancora stimato da eletti. Sta di fatto che successivamente ci sono testimonianze di coltivazioni nelle zone di Pavia, Mantova, Cremona, Brescia, Novara, Vercelli, Saluzzo, Bologna, Padova, Treviso, nel Polesine e in Toscana. Già a quel tempo la resa di riso in campo si aggirava sulle 10-12 volte il seminato, cioè più del doppio di quella del frumento; inoltre esso aveva il pregio grandissimo di adattarsi ai terreni meno favorevoli ad altre colture. Malgrado la maggiore disponibilità, il riso si mantenne però su livelli di prezzo molto alti. Nel 1800 il "Nostrale" coltivato inizialmente e rivelatosi sensibile ai parassiti venne sostituito dal "Chinese" di origine asiatica e, più tardi, da un suo ibrido, il "Dertone"; ma la resa sul campo anche per la scarsa concimazione restò al massimo di 24-25 q per ettaro. Tuttavia, i produttori avrebbero potuto ancora essere soddisfatti (il prodotto italiano veniva esportato su larga scala), se non ci fosse stata l’apertura del Canale di Suez, che consentì la "calata" dei risi asiatici a prezzi tanto bassi da mettere in crisi lo stesso mercato interno, provocando un sensibile calo della produzione. Il difficile momento della risicoltura italiana venne puntualizzato anche dal "Corriere della Sera" che, il 3 maggio 1882, scrisse testualmente: "I risicoltori della bassa Lombardia, l’Oltre Ticino, sia per le imposte eccessive, sia per la concorrenza, si trovano in uno stato di vero disagio e bisognosi di ingenti provvidenze. Oh, povera agricoltura! Essa può ben ripetere con malinconia il lagno che si riassume nella strofa dei campagnoli: "L'Altissimo di su ci manda la tempesta, l'Altissimo di giù ci toglie quel che resta. Fra questi due Altissimi noi siamo poverissimi". Ma le pressioni della stampa o della pubblica opinione, le interrogazioni parlamentari e le richieste dei coltivatori mossero il governo in difesa della produzione nazionale. Fu infine la guerra del ¢ 15 – ¢ 18 a incrementare la produzione del riso dato il problematico approvvigionamento di altre derrate alimentari. Superato il periodo bellico, la situazione tornò a peggiorare e, in conseguenza della crisi del quinquennio 1929-1933, venne creato l’Ente Nazionale Risi al quale è dovuta in buona parte la rinascita della risicoltura italiana, oggi tenuta in grande considerazione nel mondo, sia per la preminenza da essa acquisita nel campo delle ricerche volte al continuo perfezionamento della tecnica colturale e al miglioramento varietale, sia per l’eccellente livello qualitativo della sua produzione.
(Da "Una coltura nella nebbia", ricerca scolastica di Fabrizio Alessi e Fabio Aschei, per gentile concessione)