MONDINE LOMELLINE
Le lotte per il lavoro
Lotte di inizio '900.
Come
puntualmente documentato sul settimanale locale "L'Eco
della Lomellina", nel 1901, a Sannazzaro, come in tutta la
Lomellina, ci fu l'esplosione su vasta scala delle lotte
contadine. Un avvenimento storico, di grande portata. Fino
ad allora nelle campagne gli scioperi erano stati
occasionali e avevano interessato, più che i lavoratori
locali, quelli che ogni anno accorrevano, per 30-40
giorni, per la monda dei risi. Arrivavano a migliaia in
Lomellina: dal vicino Oltrepò, dal Lodigiano o dalla più
lontana Emilia; si trattava di uomini, donne, ragazzi di
10-11 anni, tutti ingaggiati da appositi intermediari.
Quando giungeva la stagione, in maggio, i lavoratori
affluivano con ogni mezzo: con i treni, se provenivano da
lontano, ammassati su carretti, in genere, se le distanze
erano più brevi. L'alloggio loro riservato era precario,
il vitto non sempre rispondeva alla qualità pattuita e le
ore lavorative risultavano massacranti, fino a 15, 16 al
giorno. Le ragioni di contrasto coi conduttori dei fondi,
volendo, non mancavano. Così, per ricordare un caso,
nel'99 alla cascina Erbogna di Valeggio erano scoppiati
disordini per l'orario di lavoro, che avevano portato
all'arresto di una mezza dozzina di mondariso da parte di
un delegato e di sei carabinieri giunti dalla
sotto-prefettura di Mortara. Si era detto che gli
arrestati erano "dei pochi di buono, dal più al meno dei
pregiudicati". In effetti, lo sciopero era allora da molti
considerato alla stregua di un crimine, e chi lo praticava
era giudicato in conformità. Il sistema di reclutamento,
specialmente, era alla base dei malcontenti, affidato in
genere ad individui poco scrupolosi, che speculavano
talvolta in modo vergognoso sulla manodopera. Si erano
visti intermediari dileguarsi sul finire della campagna,
facendo mancare ai mondini parte delle loro corresponsioni
e perfino il biglietto di ritorno. Per questo, fin dal
'92, il deputato Alghini di Modena aveva presentato un
progetto di legge perché gli agricoltori trattassero
direttamente l'ingaggio con apposite rappresentanze dei
lavoratori, ma i fittabili non ne avevano voluto sapere: a
loro conveniva evitare pattuizioni troppo rigide e una
controparte che non fosse debole e divisa per la stessa
ragione si faceva in modo che il lavoro non abbondasse per
la manodopera locale che così, al tempo della monda, aveva
i suoi problemi ad essere ingaggiata. Per il salario si
fissavano tre categorie: gli uomini, le donne e i ragazzi;
le paghe inoltre mutavano di settimana in settimana
raggiungendo i livelli più alti alla fine di giugno,
quando i lavori fervevano anche per la mietitura e stare
in risaia diventava più penoso. Nel '98 a Sannazzaro la
prima categoria riceveva, all'inizio della stagione, una
lira per dieci ore di lavoro giornaliero, 0,80 ne otteneva
la seconda e 0,50 la terza. Alla fine della campagna il
salario della prima risultava salito a L. 1,50 e in
proporzione quello delle altre due. Variazioni si avevano
altresì da località a località. Rimaneva il fatto, in ogni
caso, che si era di fronte a retribuzioni veramente
misere, che gli agricoltori giustificavano a causa del
basso prezzo dei prodotti… Quello che era mancato fino a
quel momento ai contadini era l'organizzazione, ma adesso,
nel 1901, il momento pareva propizio e l'ora finalmente
giunta per cambiare pagina...Ai primi di maggio di
quell'anno, gli scioperi dilagavano nelle campagne: "Dal
Bolognese, dal Mantovano, dal Ferrarese" essi si erano
estesi anche alla Lomellina, "a Sannazzaro, Lomello, Mede,
Torreberetti, Valle, Semiana, Zeme e diversi altri paesi"
A Sannazzaro i primi a scendere in sciopero furono i
salariati e le mondine dei signori Pollone, Cardoli,
Fagnani; poi l'astensione coinvolse anche la grande tenuta
della Cascinazza, assumendo un carattere generale. Le
contadine ben presto, però, si accordarono, ritenendosi
paghe di aver visto salire la loro mercede giornaliera da
L. 0,60 a L. 0,75; più a lungo si protrasse invece
l'agitazione di famigli, bifolchi e cavallanti che,
lasciando ingovernate le bestie, riuscirono alla fine a
spuntare miglioramenti più sostanziosi. L'inizio era
incoraggiante e infatti trovò attuazione, di lì a poco, la
proposta di costituire in paese anche una Società di Mutuo
Soccorso fra contadini, braccianti e coloni. Dopo i
successi conseguiti, le lotte contadine ripresero quasi
subito e continuarono per tutta la stagione della monda;
le ragioni al solito non mancavano: quando non era il
salario, erano problemi di assunzione, ed altri ancora.
Alla fine di maggio, un "martedì mattina, una numerosa
turba di mondine invadeva il municipio protestando perché
il cav. Pollone non le aveva accettate al suo servizio".
Era successo che 1'impresario Beolchi, avuto l'incarico di
assumere 60 donne, al ponte di S. Pietro, dove si era
soliti "far piazza", se n'era trovato di fronte 200 che
gridavano: "O tutte o nessuna". Nel corso della stagione
la giornata dei mondini salì per le tre categorie
rispettivamente a L. 1,80, 1,45 e 1,10 e l'impressione fu
che le pretese dei lavoratori fossero fin troppo
cresciute, visto che si ricusava perfino il lavoro "nelle
campagne un po' distanti dal paese". E si doveva
constatare inoltre che da parte degli scioperanti si
ricorreva talvolta alla violenza. A Ferrera, ad esempio,
un giorno un gruppo di donne e ragazzi avevano aggredito,
per indurle ad astenersi dal lavoro, le mondine delle
cascine Confaloniera, Gattinera e Malandrana: alcune erano
state colpite a bastonate e altre costrette a rifugiarsi
in una stalla: per questo fatto c'era stato l'arresto di
cinque donne e al processo, dove l'arringa venne tenuta
dall'avvocato "Piceni di Milano (...) intersecando la
difesa con un po' di conferenza socialista", esse vennero
condannate a qualche giorno di reclusione. Per evitare
questi incidenti in giugno venne a Sannazzaro l'on.
Cabrini, ammonendo di non lasciarsi "sopraffare dalla
passione di rivendicare un'offesa colla violenza", ma di
pensare piuttosto "ad organizzarsi in lega, per sostenere
le resistenze contro i proprietari" ". Il suo invito, come
quello di altri, fu raccolto, visto che ben presto tutta
la Lomellina vide fiorire le leghe contadine. Quale fu la
reazione delle autorità e degli agricoltori di fronte al
dilagare degli scioperi e nei confronti
dell'organizzazione proletaria? L'atteggiamento del
governo fu prudente, diretto ad attenuare le ragioni dello
scontento. Per questo il sotto-prefetto di Mortara emanò
durante le agitazioni due circolari, con cui deplorava in
una il comportamento di quei conduttori che fornivano ai
dipendenti, come salario in natura, riso, segale e
granoturco di infima qualità o addirittura avariati, e
faceva appello con la seconda perché anche le case
coloniche, in pessime condizioni igieniche, si adeguassero
alle norme sanitarie. Le possibilità che queste ordinanze
avevano di trovare applicazione erano tuttavia alquanto
scarse, visto che i sindaci a cui erano dirette, erano in
genere proprio quegli agricoltori di cui si denunciavano
gli abusi. Non era da credere quindi che le cose potessero
di molto cambiare. Era comunque un fatto nuovo,
importante, che il governo prendesse atto delle condizioni
dei contadini e, anziché schierarsi come prima , al fianco
degli agricoltori per reprimere le agitazioni dei
lavoratori, ne incoraggiasse di questi in certo qual modo
le rivendicazioni. Nelle lotte l'autorità si sarebbe
limitata a tutelare la libertà di lavoro…Ma se i
lavoratori della terra si organizzavano in leghe, gli
agricoltori, vinta la sorpresa del momento, non se ne
stavano con le mani in mano e passavano a loro volta al
contrattacco… In breve, in Lomellina, alle leghe contadine
venne a contrapporsi la Federazione agraria…Alla fine del
1901 tuttavia il successo sembrava arridere alle masse
proletarie, come si poteva constatare anche dalle
migliorate loro condizioni di vita…A chi si doveva il
merito della rapida organizzazione del contadino, ragione
prima dei suoi successi? Innanzitutto alle Camere del
Lavoro, che da organi apartitici si erano sempre più
trasformate in strumento di lotta politica e sociale al
servizio del socialismo e dei lavoratori…Erano venuti gli
scioperi, le leghe, i successi; poi, nel 1902, all'inizio
della nuova campagna risicola, in marzo, a Mortara si
riunirono le Federazioni lomelline delle leghe e degli
agricoltori, per un accordo che avrebbe dovuto valere per
l'intera zona. Non fu difficile fissare il numero dei
giorni e delle ore di lavoro, ma fu impossibile addivenire
ad un'intesa sul salario. Gli agricoltori non erano
disposti a stabilire. un prezzo, viste le differenze da
località a località e la scarsa affidabilità delle leghe -
si diceva - a far rispettare i patti. Nel frattempo si
cercava di risparmiare sulla manodopera, riconvertendo in
parte le colture e promuovendo l'uso delle macchine... In
caso di sciopero l'ordine era di resistere ad oltranza e
di non trattare con le leghe. Fu così che, mentre il 1901
era stato per i contadini l'anno delle vittorie, il 1902
risultò quello delle sconfitte. In marzo le leghe
contadine del Vercellese avevano presentato un "memoriale"
che prevedeva per i braccianti un salario annuo di 600
lire. I fittabili l'avevano respinto ed era stato lo
sciopero generale dei lavoratori della terra. Ben presto
il contagio si venne estendendo alla Lomellina e scioperi
scoppiarono qua e là. A Sartirana l'astensione fu
generale, anche dei mungitori, che misero a repentaglio la
vita stessa delle bestie. Si ricorse a manodopera dei
paesi vicini, ci furono dei disordini, accorsero da
Mortara il tenente dei carabinieri e lo stesso
sottoprefetto. Alla fine il dissidio parve composto, ma
subito "i famigli vennero licenziati con ordine di sfratto
entro otto giorni. Con pianti ed implorazioni quelli di
Casa ducale ottennero di rimanere fino a S. Martino". La
sconfitta era bruciante, tanto più che la lega nulla poté.
Qualche giorno dopo si scioperava anche a Sannazzaro, per
portare il prezzo dell'ora di lavoro a 25 centesimi: gli
agricoltori sostenevano di volersi attenere al concordato,
nel frattempo stipulato a Mortara, che ne prevedeva solo
18. Fu chiamato l'on. Montemartini, unico deputato
socialista della provincia, per un accordo; ma senza
successo. In una animata assemblea alla Società Operaia,
Montemartini consigliò agli scioperanti "che se
intendevano continuare lo sciopero calcolassero prima per
bene se trovavansi in condizioni finanziarie tali da poter
resistere, altrimenti andassero a lavorare". Era un invito
alla prudenza, ma all'unanimità si votò per la resistenza,
proponendo alcuni, contro il parere di Montemartini, di
coinvolgere nella lotta anche i salariati. Gli agricoltori
e il cav. Pollone in particolare decisero allora di
ricorrere a contadini di Dorno, che poterono lavorare
sotto la protezione dei carabinieri; così, dopo dieci
giorni, grazie sempre all'intervento di Montemartini, si
dovette accettare la paga concordata a Mortara. La
disillusione fu grande… In effetti la Camera del Lavoro,
le leghe avevano suscitato il moto rivendicativo, ma non
erano poi state in grado di sostenerlo e di controllarlo.
Finche c'erano stati dei successi i contadini erano con le
organizzazioni, ma ora tutto il movimento appariva
palesemente in crisi. Era stato un errore il massimalismo
di certuni e lo stesso partito socialista rischiava ora di
perdere credibilità e consensi… Del problema delle risaie,
dopo le vicende tumultuose dei primi anni del secolo,
incominciò ad interessarsi anche il governo con l'intento
di regolamentare, con speciale legislazione, tutta la
materia. I risicoltori lomellini ne furono subito
preoccupati e indissero nel febbraio del 1904 a Mortara un
convegno nazionale, al quale parteciparono alcune migliaia
di agricoltori. Rilevato che le progettate riduzioni
d'orario nei lavori delle risaie sarebbero risultate, per
la particolare natura della coltivazione, di danno
gravissimo tanto ai coltivatori quanto ai lavoratori,
veniva approvato un ordine del giorno così formulato: "Gli
agricoltori lomellini, vercellesi e novaresi (...)
chiedono agli alti poteri dello Stato che la mondatura non
venga sottoposta, quanto alle ore, ad un regime speciale".
Al convegno degli agricoltori faceva immediatamente
seguito quello dei contadini in cui, sempre a Mortara, ad
un comizio ove parlò l'on. Bissolati fu richiesta "la
pronta approvazione della legge sulle risaie con la
fissazione ad otto ore della giornata di lavoro in
risaia". Per il momento, però, il Consiglio Provinciale
con duro realismo, fissò a 10 ore la giornata dei
mondariso locali e a 11 quella dei forestieri, limitandosi
solo ad escludere dai lavori i minori di 13 anni. La
campagna del 1904 risultò piuttosto vivace per le vertenze
sull'orario di lavoro. A Mortara si scioperò a lungo per
ottenere le 8 ore a 25 centesimi, contro la volontà dei
fittabili di non scendere sotto le 9 ore; a Sannazzaro
invece furono gli agricoltori a provocare le proteste e le
astensioni non accettando, secondo il bollettino di
Mortara, la giornata di 10 ore a centesimi 24 all'ora.
L'annata fu agitata in Lomellina come lo fu in tutta
Italia in quanto culminò nello sciopero generale di
ottobre, degenerato in violenze con morti e feriti. Il
governo fu abile nella circostanza ad approfittare del
malumore insorto nell'opinione pubblica e indisse le
elezioni. Gli esiti furono tali che, nel complesso, come
su scala nazionale, i socialisti dovevano scontare gli
effetti negativi delle loro scelte massimaliste, anche se
le azioni tumultuose degli ultimi anni avevano certamente
contribuito a radicare la loro presenza anche là dove fino
a quel momento essa era pressoché inesistente. Il soffio
della ribellione era penetrato ormai dovunque in Lomellina
…Quanti avevano creduto, con le elezioni del 1904, di
avere inferto un colpo mortale al socialismo e posto fine
alle tensioni sociali dovevano rimanere ancora una volta
amaramente delusi. Gli scioperi continuarono, anche se a
fasi alterne, e ad essi ci si dovette abituare, come a un
connotato dei nuovi tempi. La causa principale del
contendere era ormai l'orario di lavoro, che le "leghe di
resistenza" volevano ridotto a otto ore. Su questo punto
però la posizione degli agricoltori si rivelava
intransigente e quando il governo, attraverso l'Ufficio
del lavoro, nel 1906 presentò un disegno di legge che
prevedeva in risaia un massimo di nove ore, la reazione
dei fittabili lomellini fu del tutto negativa e improntata
a toni catastrofici. L'anno dopo, però, i fittabili
sarebbero stati ben contenti di assumere le mondine a 9
ore giornaliere. Queste reclamavano a tutti i costi le 8
ore. A Sannazzaro all'inizio della stagione Egisto Cagnoni
tenne "sulla pubblica piazza una conferenza raccomandando
ai contadini di ricostituire la lega e di essere solidali
a resistere nella pretesa delle otto ore a 25 centesimi
all'ora". Questa volta l'iniziativa della lotta, in paese,
fu presa da quattro donne che decisero di costituire una
lega femminile e di sostenere ad oltranza lo sciopero; e,
quando da Ferrera giunsero delle crumire, alla cascina
Balossina e alla Gravassola esse le affrontarono
costringendole ad andare indietro; il capo a sua volta,
arrivato in carrozza, "fu investito d'improperi e
minacciato di percosse con l'anticipazione di qualche
sassata". In effetti il fronte degli scioperanti era poco
unito; spesso si scioperava in paese e si cercava lavoro,
ad ogni condizione, in quello vicino. Così 1'anno prima,
proprio a Ferrera, durante la stagione del taglio erano
stati contadini di Gropello a sostituire quelli locali in
sciopero. Sulla questione dell'orario gli agricoltori non
erano proprio disposti a cedere. A Zeme nel 1908 ci fu da
parte dei contadini un memorabile sciopero durato 53
giorni; poi furono costretti a capitolare. Tuttavia il
problema rimaneva sul tappeto come si poté constatare
1'anno dopo. Quella del 1909 fu in effetti una primavera
"calda" in Lomellina. I primi incidenti si verificarono
nel territorio di Ottobiano, quando 450 mondini in
sciopero che tentavano di invadere le cascine Pia e Gorina
furono costretti a retrocedere da 35 carabinieri a
cavallo. Poi gli scioperi dilagarono un po' dappertutto e
dai campi si estesero alle filande. Particolarmente
critica la situazione si fece a Mede: in giugno, quando
più dovevano fervere i lavori, 1200 persone,
prevalentemente donne, si trovarono in sciopero. Alle
mondine si unirono poi le operaie delle tre filande e il
clima era diventato incandescente. Si fecero affluire
oltre a numerosi carabinieri "uno squadrone di
cavalleggeri e due compagnie di fanteria". Alla fine si
riuscì a comporre la vertenza sulla base delle 8 ore,
quando intervennero il sottoprefetto, 1'on. Marazzani,
deputato socialista di Vigevano, Gasperini della
Federazione lavoratori di Bologna ed Egisto Cagnoni.
Nonostante 1'acuirsi dei conflitti di lavoro, in
Lomellina, a differenza di altre zone, gli incidenti non
degenerarono mai in atti particolarmente gravi di
violenza. A fatti di sangue tuttavia in questi anni non si
arrivò, come capiterà invece dopo la guerra, anche se il
clima sociale in certe località era tanto acceso che c'è
da sorprendersi come non si sia giunti a tanto... Con le
lotte contadine d'inizio secolo la Lomellina venne alla
ribalta degli avvenimenti sindacali italiani. La battaglia
per le otto ore fu infatti qui combattuta e vinta, in
linea di principio almeno, per la prima volta in Italia.
Di colpo i braccianti e le mondine si trovarono a
sostenere una lotta che andava ben al di là dei loro
specifici interessi. Nelle battaglie dei contadini
lomellini era tutto il movimento dei lavoratori a
riconoscersi ed essi costituivano veramente, in quel
momento, 1'avanguardia del proletariato protagonisti in
prima linea per una rivendicazione di fondamentale
importanza. Perché tutto questo proprio in Lomellina? Non
certo per una vocazione allo scontro dei suoi abitanti,
per natura piuttosto pacifici e remissivi, alieni nella
vita privata dalle posizioni estreme, quanto per il tipo
particolare di agricoltura che qui si praticava.
L'irrigazione e la risaia volevano la grande conduzione e
le masse bracciantili; la contrapposizione era quindi
nelle cose e la lotta di classe la si poteva quasi captare
attraverso il paesaggio. Il verde delle risaie non si
poteva accordare politicamente con i colori sfumati: esso
richiamava le tinte forti, il rosso cupo e, a tempo
debito, il nero ben marcato.
Alessandro Savini
(Riduz. e adatt. da "Una terra, una popolazione - Sannazzaro de' Burgondi attraverso il suo giornale - 1890 / 1926", edito a cura del Comune di Sannazzaro nel 1987, per gentile concessione dell'Autore. I passi riportati tra virgolette sono tratti dal settimanale locale "L'Eco della Lomellina").
Sommario "Le lotte per il lavoro"