Il lavoro, ieri e oggi.
Cavallanti, carrettieri, sellai...
Prima delle strade asfaltate,
delle pompe di benzina e dei mastodontici tir, erano altri
gli strumenti che accompagnavano le attività quotidiane,
strumenti che si possono riassumere in una sola parola: i
cavalli. Semplici mezzi di lavoro, compagni di viaggio o
bestie da soma, odiati per aver stroncato una vita o amati
per averne salvata una, motivo di lustro o di
disperazione, tanti cavalli si radunavano intorno agli
uomini e radunavano intorno a sé un fitto sciame di
persone per la loro cura. Dal fabbro al sellaio, dal
cavallante al carrettiere questi animali offrivano ed
esigevano lavoro. A Sannazzaro, fino agli anni cinquanta,
i cavalli erano innumerevoli. Le cascine più grandi
potevano averne quindici, venti o anche un numero
superiore, a seconda delle esigenze. Ma chiunque poteva
permetterselo investiva nell'acquisto di uno di questi
animali oppure ripiegava su un asino. Uno dei più
importanti mercati equini della zona si svolgeva ogni
primavera a Pavia: c' era chi offriva e vendeva, chi si
comprava un animale adulto, chi sceglieva qualche
puledrino da allevare e rivendere e chi, con le mani in
tasca, sognava di ritornare l'anno successivo con più
denaro. In ogni caso, una volta acquistato, il cavallo non
era più un animale qualsiasi, ma diventava membro di una
comunità. Accudire un animale richiedeva tempo e fatica:
per questo motivo ogni cascina aveva alcuni salariati che
si occupavano esclusivamente di questi animali e da essi
hanno preso il proprio nome di cavallanti. Dall'alba al
tramonto i cavallanti seguivano le attività dei loro
cavalli. Ognuno si prendeva cura di due animali. La
giornata iniziava presto, quando le stalle venivano aperte
per la pulizia quotidiana e per rifornire i cavalli di
acqua e di cibo. Poi, mentre gli animali mangiavano, anche
il cavallante tornava a casa a fare colazione prima di
portarli nei campi. A mezzogiorno il lavoro si fermava: i
cavalli, con le loro cuffie di tela e i salariati con i
cappelli di paglia uscivano dai campi e si riposavano per
poi affrontare il sole del pomeriggio. La stessa piccola
processione ogni sera ritornava alla cascina, fermandosi
magari in qualche specchio d'acqua per cercare sollievo
dalle mosche, dai tafani e dalla polvere. I cavalli
servivano soprattutto per tirare carri e portare a casa i
prodotti dei campi, mentre l'aratura era riservato ai
buoi. Ma nelle risaie anche i cavalli dovevano fare la
loro parte per portare mazzi di piantine, un lavoro
scomodo e faticoso per il fango che faceva affondare gli
zoccoli e per gli insetti. Ogni cavallo, oltre al proprio
cavallante, aveva bisogno di un sellaio. Il lavoro del
sellaio era un lavoro di precisione che s'imparava andando
a bottega. Anche se il nome "sellaio" può ingannare,
questo lavoro non consisteva nel fabbricare le selle, ma
nel preparare i finimenti da lavoro. I cavalli infatti
venivano cavalcati di rado ed erano usati per lo più come
animali da tiro e da soma. La bardatura era perciò
adattata a queste necessità. Ogni cavallo doveva avere
finimenti fatti su misura, a seconda del peso e della
stazza. Se si sbagliava il cavallo lavorava male e poteva
anche soffocare o coprirsi di piaghe. La bravura del
sellaio si riconosceva dalla fattura delle "collane",
l'unico elemento ad essere composto oltre che da cuoio,
anche da juta o da canapa. Si trattava di grosse
ciambelle, riempite di crine o di paglia di segale, che
prendevano questo nome dal fatto di appoggiare sul collo
dell'animale. Una volta confezionata la collana, si
passava ai finimenti tagliati con coltelli speciali
chiamati, per la loro forma, "mezzaluna". Cucire il cuoio
richiedeva molta abilità. Da grossi gomitoli di canapa si
ricavava il filo, di diverso spessore a seconda dei capi
utilizzati e immerso nella pece per renderlo lucido e
resistente. Poi, con un'apposita morsa, si tenevano due
lembi di cuoio fra le gambe, si foravano con uno strumento
chiamato "lesina" e si utilizzavano due piccoli aghi che
andavano in direzioni opposte per fissare meglio il filo.
Per la fattura delle collane invece venivano utilizzati
aghi lunghi e ricurvi per immergerli in profondità nella
paglia. Alla fine venivano preparate le briglie, il
sottopancia, le redini ed altre cinghie, ornate da bottoni
e da borchie dorate. A seconda delle occasioni i finimenti
potevano essere più o meno elaborati. Per le carrozze di
lusso le cuciture erano fitte e precise, mentre per i
funerali i cavalli venivano bardati con pennacchi e
drappi, neri per gli adulti e bianchi per i bambini. A
seconda del morto cambiava anche il numero dei cavalli e
ci poteva essere, in fila indiana, un tiro di un solo
cavallo di due o di tre. Fra le altre persone che avevano
cura del cavallo non va dimenticato il fabbro. Come per il
sellaio, così per il fabbro la precisione era essenziale,
pena il rischio di azzoppare a vita l'animale. La
ferratura doveva avvenire almeno due volte all'anno, con
ferri di diverso tipo e di differente spessore. Per il
lavoro dei campi, ad esempio, i ferri dovevano essere più
spessi per non usurarsi troppo in fretta e a volte
presentavano dei piccoli speroni per aderire meglio al
terreno. Per il tiro delle carrozze invece si utilizzavano
ferri più sottili e leggeri per lasciare al passo del
cavallo tutta la sua agilità. Ciascun ferro veniva fatto
su misura. II fabbro, insieme ad un aiutante che teneva
sollevata la zampa del cavallo, appoggiava allo zoccolo un
ferro fatto arrossare sul fuoco per averne l'impronta e
preparare il solco dentro cui far scivolare il ferro
terminato. Dopo, il fabbro batteva ciascun ferro
sull'incudine con un ritmo quasi musicale e lo inchiodava
allo zoccolo del cavallo. II lavoro terminava poi con la
limatura dello zoccolo, che in seguito doveva spesso
essere tagliato e riadattato alla ferratura. Ogni lavoro a
contatto con i cavalli richiedeva molta precisione e quasi
un sesto senso nel prevedere le azioni e le intenzioni di
questi animali con cui spesso si dovevano passare, come
nel lavoro del carrettiere, molte ore a tu per tu. Carri e
cavalli trasportavano ogni genere di merci. Alcuni
facevano il carrettiere di professione, mentre altri
prestavano o affittavano saltuariamente i loro cavalli.
Era raro vedere un carrettiere viaggiare solo per lunghi
tragitti. Di solito preferivano spostarsi con due carri,
accompagnati da qualche garzone, per sentirsi più sicuri e
per aiutarsi a vicenda nelle salite aumentando il tiro con
i cavalli dell'altro. I carrettieri servivano per molte
attività della zona. I Comuni della Lomellina
commissionavano il trasporto di ghiaia dalle rive del Po
fino alle loro strade che, non essendo asfaltate ma
lasciate in terra battuta, venivano ricoperte di ghiaia
per non sollevare la polvere. Altri viaggi erano più
legati alla stagione, come il trasporto dell'uva.
All'epoca della vendemmia cavalli e carrettieri partivano
alla volta dell'Oltrepò e, dopo qualche giorno,
ritornavano con il loro carico di botti colme di uva
matura per rifornire le osterie. Durante tutto l'anno
invece i carri si dirigevano verso i mulini carichi di
granaglie per tornare con la farina per i fornai o
facevano la spola fra le cascine e i mercati per
raccogliere e vendere i prodotti dei campi. Per i lunghi
viaggi, che richiedevano di stare più notti fuori casa,
erano a disposizione gli alberghi con stallazzo, alberghi
cioè che erano forniti di stalle e di personale addetto
alla cura dei cavalli dei viaggiatori.
Isabella Montini
(Riduz. e adatt. da "Lavori di un tempo", L'Eco di Sannazzaro n.3 - settembre 1997).
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